La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26519 del 9 novembre 2017, ha affermato un importantissimo principio di diritto, stabilendo che è nullo il pignoramento esattoriale di crediti ex art. 72 – bis se attivato da Equitalia (ora Agenzia delle Entrate Riscossione) senza indicare il dettaglio dei crediti.
Equitalia si avvale ai sensi dell’art. 72 bis , infatti, di una particolare procedura di pignoramento dello stipendio, pensione e conto corrente, ordinando direttamente all’ente di versare le somme a proprio favore sulla base del credito vantato in relazione a cartelle esattoriali , intimazione di pagamento e avvisi di addebito. Spesso però l’atto di pignoramento di crediti verso terzi notificato dall’ Ente di Riscossione, si limita a intimare genericamente il pagamento di una somma complessiva per “tributi/entrate”, senza specificare a che titolo siano dovuti tali importi: non sempre è infatti indicato se si tratta di imposte, multe, bollo auto o altre sanzioni amministrative, con grave violazione del diritto di difesa impedendo il contribuente di poter accertare ad esempio l’avvenuto pagamento di tali importi o l’eventuale annullamento e/o prescrizione. Ed invero viene solitamente indicato il numero dell’intimazione di pagamento senza alcuna menzione della cartella esattoriale e del verbale, del numero di targa, dell’annualità del mancato pagamento del bollo auto o della Tari, tutti elementi indispensabili al fine di consentire l’utente un effettivo controllo sulla debenza o meno dell’importo richiesto.
Ebbene, proprio la mancata indicazione dettagliata dei crediti, della loro natura, degli importi, delle relative cartelle e delle date di notifica costituisce grave motivo di illegittimità del pignoramento , da contestare con opposizione agli atti esecutivi. Si precisa che in mancanza di opposizione l’ente bancario e/o il datore di lavoro sono legittimati a provvedere al pagamento delle somme pignorate sul conto corrente e/o la pensione nei limiti di legge direttamente all’ Agenzia delle Entrate Riscossione ( già Equitalia ) con grave pregiudizio nei confronti del contribuente.
Di fatto, sono stati dichiarati illegittimi tutti i pignoramenti di crediti verso terzi effettuati dall’Agenzia delle Entrate Riscossione senza indicare il dettaglio dei crediti, con la conseguenza di poter proporre opposizione facendo valere i propri diritti.
Tornando ai fatti di causa, la stessa Equitalia riteneva in propria difesa che nell’atto di pignoramento per cui procedeva non vi era necessità di allegare le cartelle, stante la fede privilegiata di cui avrebbero goduto i fatti accertati dal funzionario responsabile della procedura.
Tale censura è stata pero respinta dalla Suprema Corte sulla scorta del principio per cui l’atto di pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione (art. 72-bis, DPR 602) in sede di esecuzione esattoriale, sebbene preordinato alla riscossione coattiva dei crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico ai sensi e per gli effetti degli artt. 2699 e 2700 c.c., conservando invece quella di atto processuale di parte.
Ne consegue che l’attestazione ivi contenuta circa le attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto – nella specie, l’allegazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione – non è assistita da pubblica fede e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto invece avviene, qualora l’agente di riscossione eserciti le funzioni dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando l’atto medesimo.
La Cassazione ha quindi enunciato il seguente importantissimo principio di diritto: “… L’atto di pignoramento presso terzi eseguito dall’agente di riscossione ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, articolo 72-bis in sede di esecuzione esattoriale, sebbene preordinato alla riscossione coattiva di crediti erariali, non acquisisce per ciò stesso la natura di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti degli articoli 2699 e 2700 cod. civ., conservando invece quella di atto processuale di parte. Consegue che l’attestazione ivi contenuta delle attività svolte dal funzionario che ha materialmente predisposto l’atto (nella specie, concernente l’allegazione di un elenco contenente l’indicazione delle cartelle di pagamento relative ai crediti posti in riscossione) non è assistita da fede pubblica e non fa piena prova fino a querela di falso, a differenza di quanto avviene quando l’agente di riscossione esercita – Decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, ex articolo 49, comma 3, – le funzioni proprie dell’ufficiale giudiziario, ad esempio notificando il medesimo atto”.
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