La recentissima ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 7409 del 17 marzo 2020 conferma l’unanime indirizzo giurisprudenziale relativo alla questione della prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella esattoriale per i crediti erariali vantati dalle Pubbliche Amministrazioni .
E’ il caso di illustrare i termini della questione al fine di comprendere meglio quando si prescrive una cartella esattoriale ed il relativo credito.
Cos’è la prescrizione
La prescrizione è una causa di estinzione del diritto determinata dall’inattività o dal non uso da parte del titolare di esso per un periodo determinato dalla legge.
Il motivo per cui l’ordinamento giuridico fa discendere dall’inerzia del titolare del diritto protratta per un determinato periodo di tempo l’estinzione del diritto è prevalentemente individuata nella certezza dei rapporti giuridici posto che il mancato esercizio del diritto stesso per un lungo periodo di tempo potrebbe determinare nella generalità delle persone la convinzione che lo stesso non esista o che sia stato abbandonato.
Le norme in materia di prescrizione sono inderogabili restando, pertanto, nullo ogni eventuale accordo tra le parti volto a modificarne la disciplina.
I termini di prescrizione dei tributi
La legge ha distinto due forme di prescrizione.
Quella che di norma viene applicata è la prescrizione ordinaria, e si compie nel termine di dieci anni. Tuttavia, in particolari casi, espressamente individuati dalla legge, la prescrizione decorre in minor tempo (cd. prescrizione breve).
La prescrizione ordinaria, disciplinata dall’art. 2946 c.c., si compie dopo dieci anni e si verifica in tutti i casi in cui non vi siano contrarie disposizioni di legge.
Il legislatore ha, però, previsto prescrizioni più brevi, che vengono disciplinate dagli artt. 2947 c.c. e seguenti.
Esiste infatti un’eccezione prevista dal Codice civile secondo cui tutti i debiti da pagare tutti gli anni o per frazioni più brevi dell’anno (ad esempio una volta ogni sei mesi, ogni tre mesi ,ecc.) cadono in prescrizione in cinque anni.
Per le imposte degli enti locali (Regioni, Province, Comuni) non v’è stato alcun dubbio nel ritenere che la prescrizione sia sempre di cinque anni.
Pertanto è pacifico che si prescrivono in 5 anni
- Multe stradali
- Imu
- Tasi
- Tari
- Sanzioni amministrative
- Crediti previdenziali (Inps o Inail)
Per il bollo auto poi esiste una regola ulteriore: la prescrizione è di tre anni.
Pertanto ad esempio se l’Agenzia delle Entrate Riscossione (ex Equitalia) notifica una cartella esattoriale con la quale richiede il pagamento di una vecchia multa non pagata,e sono decorsi cinque anni dalla notifica del verbale , dovrà dire addio alle somme che non le sono state corrisposte: decorso tale termine, infatti, interviene la prescrizione. Occorrerà sempre però promuovere un ricorso perché la prescrizione non è automatica.
I termini di prescrizione delle cartelle esattoriali non opposte
Altra questione invece riguarda il caso in cui il contribuente, una volta ricevuta la cartella esattoriale, non provveda tempestivamente a proporre ricorso.
In tali casi l’Erario ha sempre sostenuto che, la mancata opposizione dell’atto impositivo, comporterebbe la “irretrattabilità” e/o la “immodificabilità” della pretesa creditoria in esso contenuta. Per tale effetto, in tali casi il diritto di credito dello Stato, non sarebbe più soggetto alla prescrizione prevista per la specifica pretesa esattoriale, dovendosi invece applicare la prescrizione decennale.
La questione sulla prescrizione delle cartelle esattoriali ha avuto una definitiva regolamentazione con la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 23397/2016 del 17 novembre 2016.
La Suprema Corte ha precisato che la cartella esattoriale non opposta non può “assimilarsi ad un titolo giudiziale”, in quanto “formata unilateralmente dallo stesso ente”, “motivo per cui non può applicarsi al credito ivi contenuto la prescrizione decennale conseguente ad una sentenza di condanna passata in giudicato”.
La prescrizione ordinaria è applicabile solo quando vi è stata una verifica giurisdizionale, un provvedimento del Giudice che definisce la lite.
In breve, “solo l’accertamento giudiziale può determinare l’allungamento del periodo prescrizionale del credito e ciò per effetto dell’intervento del sindacato del giudice che ha verificato la fondatezza della pretesa azionata”.
Pertanto potrà essere applicata la prescrizione decennale solo nel caso in cui è stata già proposta opposizione avverso la pretesa erariale ed il ricorso è stato già rigettato con sentenza passata in giudicato.
Nel caso più frequente invece in cui il contribuente non abbia proposto opposizione alla cartella esattoriale, ma riceve successivamente una notifica di un pignoramento, un fermo amministrativo, una intimazione di pagamento o comunque viene a conoscenza dell’esistenza di debiti per cartelle notificate da molto tempo, in tal caso “anche se la cartella è divenuta definitiva e non più impugnabile, il termine di prescrizione segue quello del tributo richiamato nella cartella stessa”.
La Corte ha sancito che non esiste un unico termine di prescrizione per le cartelle.
Il termine di prescrizione dipende dal tipo di tributo o sanzione richiesto al contribuente con la cartella stessa: per ciascuno di questi infatti è previsto un termine diverso, pertanto se la cartella ha ad oggetto contravvenzioni al codice della strada, Imu , Tasi , Tari si applicherà la prescrizione quinquennale; se ha ad oggetto il bollo auto la prescrizione sarà sempre di tre anni.
L’ordinanza della Suprema Corte di Cassazione n. 7409 del 17 marzo 2020
Nel caso sottoposto all’esame della Suprema Corte , l’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso la sentenza della Corte d’Appello che confermava le statuizioni di primo grado in cui il Giudice aveva dichiarato estinti i crediti vantati dall’INPS e dall’INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturata successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica dell’intimazione di pagamento e dell’iscrizione ipotecaria.
L’ Agenzia delle Entrate con unico motivo di ricorso deduceva la violazione dell’art. 2946 c.c., nonché dell’art. 49 del D.P.R. 602/1973 e degli artt. 19, comma 4, e 20, comma 6 del D.Lgs. 112/1999, in quanto la sentenza impugnata avrebbe, a suo dire, applicato il termine quinquennale di prescrizione al posto del termine ordinario decennale, nonostante si trattasse di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore.
La Suprema Corte ha invece confermato l’annullamento della pretesa impositiva per intervenuta prescrizione quinquennale richiamando il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite secondo cui :
«La scadenza del termine per proporre opposizione a cartella di pagamento pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10,) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell’art. 2953 c.c. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato».
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale quindi, l’omessa impugnazione di un procedimento accertativo o esattoriale, non determina la possibilità per l’atto amministrativo non impugnato di acquisire efficacia di giudicato, poiché tali atti sono espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della PA. Per questo motivo l’inutile decorso del termine perentorio per proporre opposizione, determina la decadenza dall’impugnazione, ma non produce alcun effetto di ordine processuale, derivandone l’inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. in materia di prescrizione.
La prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute, tutte le volte che queste non siano tempestivamente richieste dal creditore.
Diversamente opinando, infatti, verrebbe frustrato il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Costituzione, poiché lo stesso verrebbe assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato o comunque corrispondente al termine ordinario di prescrizione. Il lasso temporale di potenziale riscossione del credito erariale non può infatti diventare eccessivo e irragionevole.
Per tali motivi la Suprema Corte ha rigettato il ricorso promosso dell’Agenzia delle Entrate condannandola altresì al pagamento delle spese di giudizio e confermando la nullità della procedura esecutiva azionata.
Dunque il creditore (Erario), laddove il proprio titolo esecutivo sia costituito da una cartella di pagamento o da avviso di accertamento non contestato, non potrà beneficiare del termine di prescrizione lungo decennale, dunque in dette ipotesi deve applicarsi la prescrizione “breve” che varierà a seconda della tipologia di credito azionato nella cartella.